Che cosa sono i Qanat?
“I Qanat sono sistemi di captazione molto studiati in Medioriente, in quanto costituiscono fin da epoca protostorica uno dei metodi privilegiati per la captazione e la distribuzione dell’acqua potabile in aree semidesertiche. In questi sistemi, l’acqua è convogliata tramite gallerie ipogee orizzontali a lieve pendenza che, intercettando diverse microfalde nel sottosuolo e raccogliendo le acque meteoriche per stillicidio, dirigono il liquido prima in una o più vasche di decantazione e infine nell’abbeveratoio/fontana terminale.”
Sono presenti in Calabria?
“Il termine che noi utilizziamo è una convenzione; di veri e propri Qanat oggi credo sia difficile parlare in Calabria.
Da una parte per la fragilità del tessuto geologico in cui insistono, il quale tende a crollare sotto il peso degli anni e dei movimenti tettonici, dall’altra, paradossalmente, per la sovrapposizione culturale che ha interessato questi pozzi fin dall’antichità.
Infatti, come tutte le infrastrutture realizzate nel sottosuolo, il procedere in negativo, cioè asportando il materiale ogni volta che si interviene per una modifica o un ampliamento, sottrae possibilità interpretative e materialmente decontestualizza l’opera dalle sue origini. In ogni modo questi sistemi sono presenti in molti centri montani del meridione d’Italia, con particolare concentrazione in Sicilia e Calabria.
Nonostante sia quasi impossibile datarne la realizzazione, mostrano però tecniche compatibili con i Qanat mediorientali e le Foggare sahariane”
Qual’è l’obiettivo del suo progetto “Qanat calabresi. Risorsa per il futuro e modello educativo per giovani aquilotti”?
“L’idea progettuale ha come finalità generale quella di avviare un censimento ed un’analisi archeologico-tecnica e laboratoriale dei sistemi di captazione acque, assimilabili al modello “Qanat” e presenti nell’areale aspromontano e delle Serre Calabre.
Obiettivo cardine sarà quello di restituire al paesaggio il valore chiave di queste opere, per reinserirle di diritto nel piano eco-sostenibile di rivitalizzazione delle Terre Alte.
Inoltre, parte preponderante, ha l’aspetto didattico e divulgativo del progetto, in quanto la procedura che ne scaturirà, dopo un’opportuna validazione, potrà essere utilizzata per ulteriori ricerche a medio‐lungo termine e come linea guida per favorire una presenza consapevole dell’uomo nelle montagne calabresi.”
“Concretamente il piano mira a:
– ripristinare l’accessibilità ai Qanat e rendere fruibili le aree in cui sorgono;
– rilevare topograficamente le gallerie ipogee e accatastarle; analizzare chimicamente e microbiologicamente le acque captate;
– ottenere uno studio archeologico comparativo dei sistemi indagati L’altro esito pratico, che però vedrà la luce almeno alla fine del terzo anno di studio, consiste nel ricostruire tramite analisi delle fonti un quadro storico comune;
– redigere una pubblicazione scientifico-divulgativa che contenga una sezione storico-archeologica, una geo-speleologica ed una laboratoriale circa la qualità delle acque;
– produrre un cortometraggio di “pronto soccorso culturale” con le riprese delle fasi salienti e le interviste ai ricercatori;
– adoperare la metodologia usata per la ricerca per validare un modulo formativo base di educazione civica rivolto al mondo scolastico”
Perché oltre che politico, ritiene questo progetto “rivoluzionario”?
“Gli obiettivi impliciti, mirano a restituire ai “legittimi proprietari”, i ragazzi in quanto esseri umani nativi del posto, porzioni di territorio che ad oggi rischiano di essere oggetto di vari “land grabbing”, perpetrati nel silenzio e grazie all’inconsapevolezza del tessuto sociale locale, con fini che, nella migliore delle ipotesi, sono meramente economici.
Se riflette, per esempio, all’istituzione delle ZEA (Zone Economiche Ambientali), capirà a cosa mi riferisco.
Chi fa parte di questo progetto?
“Il progetto, finanziato nella prima fase dal Gruppo Terre Alte del Comitato Scientifico Centrale e dal Gruppo Regionale Calabria con fondi del Club Alpino Italiano, ha visto partecipare un’equipe composta dall’archeologo prof. Francesco Cuteri, dall’ingegnere speleologo Luigi Manna e dal vice presidente regionale del CNSAS geologo Pierpaolo Pasqua. La base storica di riferimento e la bibliografia sono state possibili grazie all’apporto della storica, prof.ssa Sarah Procopio.
Come co-finanziamento ci si è avvalsi dell’apporto in danaro e prestazioni d’opera delle Amministrazioni Comunali di Anoia (RC) e Zungri (VV), le quali hanno garantito i servizi accessori per la partecipazione in sicurezza del team scolastico, della cooperazione del Dipartimento di Reggio Calabria dell’ARPA, che si occupa delle analisi delle acque, del contributo fornito dalla sezione Aspromonte del CAI per la copertura delle spese vive e infine del patrocinio gratuito del Parco Nazionale dell’Aspromonte.
Inoltre, l’equipe si è arricchita con l’opera volontaria dei responsabili tecnici della sez. Aspromonte del CAI, l’AE referente della Commissione Escursionismo Consolato Dattola, l’AE referente dell’Alpinismo Giovanile Geanina Cozma e del segretario della Commissione Medica Calabrese, il dottor Alessandro Tucci.
A lato dell’equipe è stato affiancato un team di alunne e alunni provenienti dall’IIS V. Gerace Liceo Classico e Artistico di Cittanova. I ragazzi hanno preso parte attiva ai lavori tramite un modello didattico sperimentale basato sul “role playing”
Estratto da un intervista a Marco Brunetti, presidente Comitato Scientifico OTTO Calabria, Club Alpino Italiano. (CAI)
TRAILER